Origine degli spiriti del Capitalismo
Si giunge a negare le conseguenze sociali delle disparità dei punti di partenza individuali. Ciò si traduce nella deplorazione dell’egualitarismo livellatore e nella difesa della meritocrazia, esaltatrice dell’individualità.
Federico Caffè, La solitudine del riformista
C’è una affinità elettiva fra capitalismo e mondo protestante.
In questo contributo, il prof. Luigino Bruni, docente di economia politica alla LUMSA, prendendo le mosse dalla sempre attuale opera di Max Weber, L’etica protestante e spirito del Capitalismo, ci guida in un’interessante analisi dei diversi spiriti del Capitalismo.
Se il modello capitalistico del nord Europa ha sostanzialmente colonizzato l’immaginario comune, proclamandosi come unico modello esistente, in realtà la storia del Capitalismo serba nelle proprie origini, più anime, o meglio, più spiriti, non tutti votati unicamente al profitto.
Questo testo è la trascrizione integrale dell’intervento di Luigino Bruni a Uomini e Profeti, pubblicata su Radio Tre domenica 29 marzo 2020.
Uomini e Profeti / “Il cammello e la cruna” 5^ puntata
Trascrizione e rielaborazione a cura di Marta Cerutti
Luigino Bruni
Parleremo dello spirito del capitalismo che si è sviluppato nel nord Europa, in ambiente protestante, e quello che si è sviluppato nel mondo meridiano del sud Europa.
Anche qui partiamo da un dato paradossale, da una apparente contraddizione e da una domanda:
come mai in Europa, che di fatto era anticapitalistica (tema che tanti interpreti hanno sempre sottolineato, da Fanfani, a Toniolo, tanti storici…) e in tutta la sua etica medievale di fatto si caratterizza per una critica all’avarizia, all’accumulo di ricchezza, al ricco visto come un nemico della collettività… un’etica che vede tutto ciò che ha a che fare con l’accumulo come una sorta di problema, una malattia della vita civile…
Come quest’Europa ha prodotto il capitalismo in età moderna?
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Quella lupa, nel racconto di Dante, come divenne un protagonista così importante della modernità? Come mai questo figlio è così diverso dai suoi genitori?
Questo è uno dei temi decisivi della storia europea, non solo della storia economica.
Partiamo da Max Weber, pensatore che più ha approfondito questo nesso.
Per Weber sappiamo che lo spirito del capitalismo è qualcosa di inedito, che non può essere paragonato a quanto esisteva prima.
Weber specifica molto chiaramente nel suo libro L’etica protestante e lo spirito del Capitalismo, che lo spirito del Capitalismo non è lo spirito di lucro.
Ci sono sempre state persone che hanno amato i soldi e desiderato arricchirsi, in tutte le categorie, non solo gli imprenditori, ma anche tra camerieri, panettieri… qualsiasi persona ha conosciuto nella storia umana il desiderio del denaro o del lucro come fine a se stesso.
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Dove sono allora le novità di questo spirito Capitalista che per Weber è molto legato al protestantesimo e in particolare al Calvinismo?
Esiste un’affinità elettiva tra il Capitalismo e il pensiero protestante
Innanzitutto esiste un’affinità elettiva tra il Capitalismo e il pensiero protestante; tra la teoria economica, anche liberale, e il pensiero protestante.
Adam Smith, poi fondatore dell’economia moderna, è stato educato in Scozia, in ambiente calvinista. Mathus e Wicksteed due grandi economisti della storia del pensiero mondiale, erano entrambi pastori protestanti.
E Alfred Marshall, forse il più influente economista inglese dell’800 (tra 800 e 900), fu educato come pastore.
E non a caso la premio Nobel del 2019, Esther Duflo, ha dichiarato “Il protestantesimo fa parte della mia famiglia, della mia educazione, del mio essere sociale”.
È un dato empirico che esista un’affinità, un rapporto, un’empatia, una simpatia tra mondo protestante e il Capitalismo.
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Weber ci aveva fornito nel 1904-1905, quando il suo libro venne pubblicato, una teoria.
Quali sono gli elementi di questo spirito?
Weber dice che lo Spirito ha tre elementi fondamentali:
1. La parola vocazione.
Nel tedesco del suo tempo Beruf. Significa che dopo Lutero, la parola vocazione, prende soprattutto il significato anche di lavoro, non solo e non più di vocazione spirituale. Mentre nel mondo cattolico rimane legata molto al mondo religioso.
Ma qual è l’elemento interessante di questa storia?
Che Lutero, cancellando il mondo monacale, della vita consacrata, frati, monache, suore… perché diceva “queste vocazioni sono state volute dal diavolo”, cancellando questo secondo binario dell’Europa (il monachesimo, il francescanesimo e tutti gli enormi carismi dell’Europa che oggi diremmo cattolica, cristiana) che cosa produsse? Produsse che la vocazione si riversò nell’ambito lavorativo: lo spostamento della categoria di vocazione dalla vita religiosa alla vita civile.
Ecco perché Weber usa molto questo dato etimologico che è Beruf: troviamo la stessa parola nel lavoro e nella vocazione (anche se oggi è un po’ diversa nel tedesco corrente), ma ha la stessa radice: lavoro e vocazione: Beruf.
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Espulsa dai monasteri, la vocazione divenne l’abito civile di tutti i cristiani riformati, uscì dal monastero e il lavoro divenne il luogo dove vivere la liturgia, cioè l’impegno, l’ora et labora del monastero emigrò nelle città divenedo la regola ordinaria del cristianesimo protestante.
L’intera vita divenne liturgia, quindi abbracciò tutto il tempo di tutti i giorni.
Questo è fondamentale in Weber: ciò che prima, nel mondo cattolico si faceva nei monasteri, il lavoro, la liturgia, la serietà, la disciplina, la divisione del lavoro, quella stessa liturgia, quello stesso impegno, divenne per tutti.
Weber dice dunque: nel mondo cattolico rimase questa distinzione tra l’eccellenza, la perfezione dello stato dei monaci e la non eccellenza dei laici; nel mondo protestante l’eccellenza divenne l’eccellenza di tutti, perché fu cancellata la prima eccellenza delle elites dei monaci e dei frati.
“L’adempimento del proprio dovere divenne il più alto contenuto che potesse avere l’etica” (Weber)
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2. La dottrina della predestinazione
Poi c’è un secondo elemento che è la famosa predestinazione, questa dottrina che ha scarse basi bibliche, giusto questo passaggio della lettera agli Efesini, nel prologo, che non è neanche di Paolo, sappiamo che è della sua scuola, in cui si dice: “Lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, predestinandoci a essere suoi figli adottivi.”
Partendo da questo c’è il grande tema: chi si salva, chi non si salva. Secondo questa dottrina i salvati sono stati scelti fin dall’eternità da Dio, con criteri da noi ignoti, quindi nessuna morale, nessuna santità etica e nessuna opera può cambiare il nostro destino già predeterminato.
Quindi noi possiamo essere bravi, buoni, non buoni.. non c’è nessu rapporto tra le nostre opere e la salvezza.
Quindi una tesi che portava addirittura Calvino ad affemare qualcosa di estermo, che difficlimente si capisce oggi: Iddio è morto solo per gli eletti, non per tutti.
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Perché è importante questa teoria teologica per il Capitalismo? Perché dalla predestinazione derivava un dato psicologico decisivo per Weber: gli eletti non possono sapere di essere stati eletti, vivono sistematicamente nell’incertezza sul loro futuro, e questo crea una sorta di ansia, di angoscia psicologica che accompagna il calvinista per tutta la vita, una solitudine di fronte al proprio destino
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3. La ricchezza come segno di elezione
È qui che arriva il terzo elemento dello spirito capitalistico secondo Weber:
Riprendendo il Calvinismo alcune tradizioni dell’Antico Testamento (l’AT ha molte anime), cioè l’idea che la ricchezza sia segnale di elezione. Io non so se sono stato eletto, vedo i segnali di questa possibile elezione.
Siccome nella Bibbia pensiamo ai patriarchi, Abramo…, dove la benedizione di Dio diventa benedizione anche economica, cioè ricchezza, se io divento ricco, posso sperare di essere tra gli eletti.
Ecco perché spirito del capitalismo, quasi uno spirito psicologico, una sorta di autoconvinzione di salvezza sulla base di un indizio in un gioco – diremmo noi economisti – ad asimmetrie informative: non ho elementi per capire dove finirò ma ho degli indizi che mi aiutano a ridurre questa incertezza.
Quindi vocazione, predestinazione, e ricchezza come segnale.
Sono questi i tre ingredienti nello spirito del Capitalismo secondo Weber.
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È una teoria potente, molto interessante, perché un’intera classe di imprenditori cominciò a leggere il proprio successo economico come benedizione, come segnale di salvezza.
E quindi crebbe l’approvazione sociale dell’essere ricco.
Quella ricchezza che per Dante, per l’etica medievale era una lupa, era un vizio, (l’avarizia), divenne un segnale di elezione una forma di benedizione (questa parola è fondamentale) da parte di Dio e segnale di predestinazione e salvezza.
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Anche se dobbiamo dire che questa ricchezza nel mondo calvinista è vissuta in modo molto sobrio, non c’è ostentazione di questa ricchezza, nel comfort e nel consumo, tanto che questo imprenditore calvinista assomiglia al monaco: spende poco, è contro l’accidia… solo un calvinista e un monaco possono capire che l’accidia è un vizio capitale, perché va contro questa dimensione attiva della vita, di intrapresa, che non è la vita comoda che stai a casa a consumare i tuoi beni.
Questo è veramente importante: l’imprenditore calvinista non si gode i suoi profitti ma li reinveste nella sua impresa. È il valore intrinseco della ricchezza a fare questo spirito, non l’uso. L’uso è secondario.
Come il monaco cattolico – questo è interessante – era individualmente povero ma viveva in monasteri ricchi (soprattutto ad un certo punto della storia), il capitalista calvinista è individualmente una specie di povero, nel senso che consuma i suoi beni e la sua ricchezza si accumula nella fabbrica.
Anche qui sta un (improbabile) collegamento tra monastero e moderno capitalismo.
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Certo, non è difficile cogliere in questa affascinante e potente teoria weberiana, (siamo qui dopo 100 anni ancora a parlarne!, questi sono i classici, che parlano sempre).
Non è difficile cogliere in questa storia, non tanto nella teoria, ma nei fatti che Weber racconta, cioè di questa lettura della ricchezza come benedizione, come segnale, alcune grandi aporie e paradossi.
Vediamone velocemente alcuni.
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Prima aporia
Il protestantesimo nasce sulla scia di Agostino, (un modo per dividere il mondo in due anche molto superficialmente, ma giusto per avere una grande classificazione) il mondo protestante ha seguito più Agostino (non a caso Lutero era Agostiniano) mentre il mondo cattolico ha seguito più Tommaso, quindi l’etica delle virtù, il bene comune….
Comunque Agostino è il grande riferimento del mondo protestante.
Il protestantesimo nasce, seguendo Agostino, da una feroce critica alla teologia pelagiana, cioè all’idea che la salvezza dipendesse dalle opere, e fosse invece solo grazia, ma nello spirito calvinista, noi ritroviamo una forma di pelagianesimo, paradossalmente, ovviamente, al di là dell’intenzione di Calvino. Perché la salvezza viene associata alle opere, sebbene le opere non siano il mezzo della salvezza ma solo il mezzo – come dice Weber – per liberarsi dall’ansia della salvezza. Possiamo chiamarlo un pelagianesimo di secondo ordine.
Ma sul piano pragmatico siamo molto vicini all’etica di Pelagio: fare opere che mi fanno diventare ricco diventa un segno di salvezza.
E così dalla critica di Pelagio, nacque un capitalismo basato sull’idea che la salvezza fosse legata alle opere produttrici del bene meno celeste del Vangelo, cioè Mammona.
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Ma c’è molto altro da dire sullo spirito del capitalismo nordico.
Una cosa che a me sta molto a cuore è il rapporto tra questa storia e la povertà: la visione della ricchezza come segno di elezione e benedizione, porta inevitabilmente con sé un’idea gemella, quasi sempre dimenticata: che la povertà è un segno di maledizione e di condanna.
Ogni teoria della buona ricchezza e anche una teoria della cattiva povertà, perché se la bontà dei ricchi viene legittimata e consacrata da un crisma religioso, la maledizione dei poveri diventa doppia maledizione: di Dio e della vita. La povertà, se guardiamo bene la storia, prima di essere un’indigenza di denaro e di beni, è sempre stata una carenza di benedizione, uno stigma religioso, e quindi un insieme di colpa e di vergogna. Il povero si sente colpevole e si vergogna della propria povertà.
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Il capitalismo di oggi non sa più nulla della Bibbia e della dottrina della predestinazione e dintorni, però l’economia che pone la ricchezza al centro della sua strada, sarà sempre un’economia che prima di chiamare i ricchi “benedetti”, chiama i poveri “maledetti”.
Il capitalismo, individuando nella ricchezza una benedizione e una promessa, produce inevitabilmente un’infinita schiera di scartati, di maledetti e di colpevoli, perché non portano sulla fronte il sigillo dell’elezione.
Quale sarà questo segno che portano sulla fronte gli eletti? Se fosse segno di Caino?… non lo sappiamo.
Quindi la povertà, in questo capitalismo, continua ad essere maledizione e i poveri ad essere chiamati maledetti.
Non capiamo tutta la crisi del welfare europeo, non capiamo la disistima per le tasse, se non prendiamo molto sul serio il ritorno dell’etica della povertà come colpa che sta diventando un grande segno, un grande elemento del nostro tempo.
Seconda parte
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E qui veniamo alla seconda parte della nostra conversazione: che cosa accadeva sotto le Alpi?
Mentre il capitalismo nordico si sviluppava – chiaramente Weber va preso come un paradigma, un ideal tipo, non bisogna leggerlo come una teoria completa, ma parziale ed interessante. Quindi sottolineo: ogni teoria interessante è parziale… le teorie che che coprono e spiegano tutto sono di una noia infinita!!
Mentre sopra le alpi, soprattutto nel mondo calvinista (qui dovremmo distinguere tra il mondo luterano che è diverso da quello calvinista; l’Olanda, una parte della Svizzera e il Nord America, tipicamente calvinisti, non sono la Svezia e la Germania, che hanno dato vita a loro modo anche di un ministero(?) sociale, quindi dovremmo distinguere mondo protestante dal calvinista. Ecco perché Weber parla di Calvinismo, che è una versione del protestantesimo, che non è la stessa versione che si svilupperà con Lutero e nei paesi luterani.
Che cosa accade in Italia, Spagna e Portogallo, nei paesi di cultura cattolica?
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Non stiamo comparando l’umanesimo protestante con quello cattolico per dire qual è il migliore: non è un problema di migliore o di peggiore, ma un problema di poter capire per poter giudicare, anche perché ci sono difficoltà ancora oggi nell’economia europea a mettere insieme la Germania con la Grecia, la Germania con il Portogallo, con l’Italia… c’è una biodiversità in Europa nelle forme di economia, perché c’è una diversità delle forme dello spirito del capitalismo.
Cioè fare impresa in Italia non è stato identico a fare un’impresa a Franco Forte, a Lisbona o ad Amsterdam. Abbiamo delle storie complesse, secolari, che vanno capite meglio per capire meglio l’oggi.
Non è un problema di archeologia fine a se stessa, ma è un’archeologia che ci serve per capire l’oggi, la BCE, il patto di stabilità o dintorni...
Ciò che notiamo subito guardando l’economia, sia nella prassi che nella teoria economica, che accade nell’800 e ‘900 sotto le alpi, noi ci accorgiamo che gli economisti italiani spagnoli, portoghesi, erano diversi nei temi scelti dagli economisti del nord America e del nord Europa.
Ma questo spirito diverso non va tanto trovato negli economisti cattolici.
Lo spirito meridiano dell’economia, va trovato in economisti che non erano formalmente cattolici.
16:44
Ad esempio io trovo molto meridiano, molto vicino allo spirito cattolico (nel senso culturale) un economista come Sylos Labini, che ha lavorato sulle classi sociali, sulla distribuzione del reddito; Federico Caffè, un economista importante che ha messo al centro della sua riflessione, la disuguaglianza, una critica alla meritocrazia…
Giorgio Fuà, economista di famiglia ebraica, anconetano; io ho studiato ancora con lui nella fine degli anni ’80. Lavorò sul PIL sulla critica che il benesere non è solamente quantità ma qualità.
Giacomo Becattini, economista di grandissimo talento che ha inventato la teoria del distretto industriale, del made in Italy.
Hanno lavorato su delle tematiche che sono legate al territorio, ai rapporti alla critica ad una certa idea di sviluppo come quantità, che sono tematiche tipicamente comunitario-relazionali. Categorie molto vicine alla pubblica felicità, che divennero nel ‘700 il tema, il titolo dell’economia meridiana, mentre nel nord europa Smith parlava della ricchezza delle nazioni.
La felicità pubblica e non privata.
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C’è poi un punto teorico che caratterizza molto la visione latina rispetto a quella più nordica dell’economia.
È quella diffidenza che si sviluppa in Italia, e non solo in Italia, ma anche in altri paesi europei meridiani, mediterranei, nei confronti della teoria di Adam Smith della mano invisibile, cioè questa idea che il bene comune sia affidato all’interazione fra gli interessi privati, che è una delle grandi intuizioni dell’economia politica liberale, forse la più importante, anche se a volte viene confusa con una battuta ironica, in realtà è centrale in tutto l’umanesimo anglosassone; per il bene comune non bevi puntare al bene comune ma al bene privato.
Come dice Smith: “Non ho visto mai fare cose buone a chi voleva il bene comune”
Il bene comune può solo nascere da persone che fanno bene il loro interesse.
Questa idea, centrale nell’umanesimo economico nordico, sarà sempre vista con molta diffidenza dai paesi latini perché c’è un’altra storia, un’altra idea di bene comune intenzionale, legato alla mutua assistenza, diceva Antonio Genovesi nel ‘700, non tanto o solo al mutuo vantaggio.
Nei paesi latini, il bene comune va ricercato in modo intenzionale, diretto, non lasciato al gioco indiretto degli interessi. Se avessimo guardato al bene comune in modo non troppo automatico, non troppo indiretto, probabilmente non avremmo distrutto il pianeta, come abbiamo fatto in quest’ultimo periodo.
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Sotto le alpi le intenzioni hanno sempre giocato un ruolo importante: non abbiamo mai creduto troppo che il bene comune fosse una somma di interessi privati ma che ci fosse bisogno di una ricerca diretta di questo bene di tutti e di ciascuno.
In dialogo con Massimo De Carolis, filosofo, che insegna filosofia politica e sociale all’università di Salerno
Massimo de Carolis
[Nella tradizione nordica] a partire da Adam Smith una profonda diffidenza per esempio per gli appelli ad esempio al bene comune.
Adam Smith, in un passaggio, dice esplicitamente di diffidare di chi si appella al bene comune; dice di diffidare delle relazioni tra amici.
Questa è una costante nella tradizione liberale. Non ci devono essere amici nel mercato.
Questo che può sembrare ai nostri occhi particolarmente inquietante, in effetti è legato all’idea che dal punto di vista liberale, queste relazioni tra amici, anche quelle tradizionali, appaiono come relazioni intrise di potere. Asimmetria, dipendenza.
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Luigino Bruni
Su questo le do pienamente ragione: c’è un pezzo che precede il famoso brano sul macellaio, il birraio.. che parla del mendicante, cioè colui che dipende dalla benevolenza del macellaio, del birraio, quindi c’è un rapporto di asimmetria e di potere.
Il mercato in qualche modo è una liberazione dai rapporti di potere non scelti, gerarchici, extramercantili.
Massimo De Carolis
C’è un passaggio di Von Mises, uno dei teorici – forse anche il più estremista – del neoliberalismo, che dice “Nelle relazioni di mercato, noi non abbiamo bisogno di baciare la mano a nessuno, perché quello che noi chiediamo e proponiamo ai nostri partner, quale che sia il loro livello di potere, è sempre qualcosa in cui noi ci appelliamo al loro interesse, non alla loro benevolenza”.
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Questo per esempio in un autore come von Mises è espicito: lo dice apertamente: ci sono le relazioni di mercato che sono basate sulla cooperazione, sul rispetto dell’altro, dove ognuno segue le regole di un gioco civile, e poi c’è il potere, cosa opposta.
Questo è profondamente sbagliato: l’idea che queste due cose siano divisibili, è profondamente sbagliata.
35:45
Luigino Bruni
Anche perché questa analisi della società dei mercati del ‘900 ha dimenticato che poi lo stesso mercato ha prodotto delle istituzioni, delle imprese che si chiamano multinazionali che al loro interno hanno riprodotto delle dinamiche di potere sacrale molto simile a quelle feudali. Non c’è solo il mercato come luogo di incontro tra pari, ci sono le istituzioni di mercato.
Massimo De Carolis
Sappiamo tutti per esperienza che il tipo di calcolo che guida le dinamiche di mercato come quelle politiche non è affatto un calcolo neutrale o indifferente rispetto al potere.
Questo è curioso perché se lei vede tutta l’economia mainstream, è sempre basata su questa idea di un mercato perfetto in cui ne va sempre e solo del valore e in cui il potere non c’è.
Questa è una cosa costruita a livello teorico e che va di pari passo con un’organizzazione istituzionale, in cui si dice “il mercato è una cosa, il potere un’altra” e qualunque interferenza è vista come un’eccezione “sì è vero ci sono le lobbies, però che possiamo fare? Le sliding doors…”
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La verità è che la dinamica di mercato, oggi più che mai, è guidata da un tipo di calcolo strategico, di tipo predatorio, che ha una struttura di tipo speculativo, in cui il valore e il potere, quindi l’economia e la politica, vengono continuamente messe in gioco contemporaneamente, non solo perché è continuo e sistematico il fatto che l’uno venga trasformato nell’altro, ma ho l’impressione che valore e potere sono intrecciate, legate in maniera molto più integra e profonda. (…)
Avremmo bisogno di un’economia politica in grado di mettere insieme, di riconoscere l’unità tra questi due momenti per realizzare quello che il più grande economista del ‘900, J.M.Keynes, presentava come lo scopo primario del sapere economico: il mercato – quando funziona bene deve servire a sconfiggere le forze oscure del tempo.
Se riusciamo a costruire questo abbiamo fatto il primo passo al di là della crisi.
(…)